IL LUME E LA FALENA

IL LUME E LA FALENA

Gianni era un uomo distinto, sempre ben vestito con la cravatta anche se non era domenica; tanto che in paese lo chiamavano ü meistro…lui sapeva a malapena scrivere il suo nome.
Ora vuoi per il suo aspetto distinto, vuoi per un’innata perspicacia dava consigli a tutto il paese, e tutto il paese andava a chiedere aiuto. Viveva così, con poca pensione e con le uova ed i polli che i contadini gli regalavano in cambio di qualche saggio consiglio che li aveva tolti da chissà quale impiccio. Gianni era contento di essere considerato importante, si rendeva utile; quando passava nelle vie i bottegai si sporgevano lo salutavano inchinandosi, le donne dagli usci lo chiamavano in casa, gli offrivano il caffè, raccontavano dei campi, dei malanni dei bimbi o del marito, aspettavano ammirate un suo consiglio – Usa quest’erba Nini! – oppure – Usa questo concime! – poi usciva tra mille ringraziamenti, voltava la via – Meistro! meistro, guardi…- e lui si fermava – Meistro secondo lei…- paziente ascoltava, fumava lento la pipa, scandiva il suo consiglio.
Insomma era un uomo importante, appagato…solo…sì, solo che negli ultimi tempi si sentiva…come dire un po’ malinconico; la sua casetta di tre stanze gli sembrava vuota…e cosa ancor più strana i problemi dei suoi compaesani finirono con l’annoiarlo, infastidirlo…non era più libero di uscire di casa senza che gli altri lo chiamassero, e poi tutti…proprio tutti erano convinti che fosse l’uomo più serio e sano…non era più libero: e questo lo spaventava!
Forse era colpa sua, forse i problemi degli altri li prendeva troppo a cuore, tanto che su certe questioni ci perdeva il sonno, si rigirava nel letto con il solo risultato che al mattino dopo i pochi capelli che aveva erano tutti imbrogliati! Insomma, pareva a lui di dover soffrire quell’ingiustizia e di dover pagare quella multa. Con il risultato che se per caso, e per quelle poche volte che era successo, sbagliava a dare il consiglio…ecco di colpo era diventato solo un buono a nulla. Per poi ridiventare, al prossimo consiglio azzeccato , ü meistro –Ingrati- pensava in quei momenti, e per due o tre giorni non usciva di casa, irritato anche solo dagli sguardi dei compaesani.
Non era più libero…bhe forse esagerava, certo se usciva di li a poco si formava un codazzo di contadini sporchi e chiacchieroni che voleva essere ascoltati a tutti i costi, un giorno poi si sfiorò l’assurdo: quella mattina decise di non mettersi la cravatta, senza un apparente motivo, forse perché era caldo e si sentiva la gola costretta o forse…forse per sfida per vedere se qualcosa cambiava, e cosa accadde? Che il prete lo fermò – Sciü Gianni sta bene? – Gianni rise di sbieco quasi che provasse dolore – Si! Grazie comunque! – E fece per andarsene girando sui tacchi e prendendo la salita che portava dal panettiere, fece però lo sbaglio, forse per la fretta di andarsene, di inciampare su di un ciottolo scavato da qualche mucca della vicina stalla. Il prete lo raggiunse fulmineo – Ma siete sicuro di stare bene?
Gianni non rispose subito, prima studiò per bene il ciottolo traditore quasi che guardandolo lo potesse rimproverare, una mucca della stalla muggì – Ridi ridi vacca maledetta, sei stata tu a far saltare quel ciottolo….
- Cosa Gianni? – il prete si era avvicinato inforcando gli occhiali, inciampando nella
tunica sbiadita – Cosa?
Gianni sospirò – Carissimo ma perché non dovrei stare bene? Ho forse la faccia pallida, gli occhi lucidi?
- No, no – si affretto il prete – solo che…si, che oggi non avete la cravatta!
Gianni rimase muto per parecchio, tanto che il prete, richiamato dalle campane, dovette scappare a dire il rosario, con la mente però a Gianni che non stava bene.
Gianni ci pensò tutta la notte, possibile che una cravatta dovesse essere così importante, o meglio possibile che fosse il suo modo di vestire a renderlo riconoscibile a renderlo ü meistro. Ora non era neanche più libero di vestirsi come voleva? Ci ripensò, e la parte più riflessiva fece capolino tra il sonno e la rabbia, probabilmente il vecchio prete aveva trovato la scusa della cravatta solo per giustificare la sua domanda, si doveva essere così. E si addormentò beato.
L’indomani, senza neanche accorgersene, no si mise il suo solito vestito nero ma prese dall’armadio i pantaloni vecchi e pieni di toppe che usava nell’orto con la maglia di lana bucata da voraci tarme.
Uscì come al solito, camminando con la sua andatura dondolante, dirigendosi come faceva da oltre sessant’anni verso il forno per prendersi il pane appena sfornato, incontrò due vecchi che conosceva da quando era piccolo, e come tutte le volte si inchinò leggermente aspettando il saluto di risposta, ma questi si scambiarono un’occhiata ed accelerando il passo tirarono dritto. Gianni li seguì con lo sguardo, un po’ incuriosito ma in fondo irritato per la maleducazione senza capirne poi il motivo. Prosegui il suo cammino passando davanti la porta della Anna che di solito lo faceva entrare a prendere un caffè, ma anche lei al suo saluto si infilò dritta in casa…e così tutti quelli che incontrava, finché un giovanotto, appoggiato al muretto del Bar la Sosta, sputò il tabacco che masticava quasi in un piede di Gianni e ridendo spiegò tutto – Ma come si è combinato meistro, che vuole perdere i clienti del paese, poi le uova come le mangia?? – il ragazzo si guardò intorno cercando il consenso di quelli che stavano seduti al tavoli sporchi e tarlati giocando a ruba mazzetto. Fatto stà che nessuno gli chiese consigli, anzi la Maria che aveva il figlio con la febbre chiamò il dottore da Genova, spendendo la giornata di lavoro del marito in medicine, perché non voleva far entrare Gianni in casa che così vestito sembrava uno zingaro.
Gianni non capiva, che i consigli li dava il suo vestito scuro e non lui! Il prete rise – Caro tu sei un personaggio in paese, e hai anche delle responsabilità verso i tuoi compaesani…
Responsabilità verso i compaesani – Vedi Gianni, tu sei come me, pensa se io uscissi vestito con il frak, chi verrebbe più a confessarsi da me, chi verrebbe a sentire la messa? La mia chiesa rimarrebbe vuota! E così anche tu devi avere la tua divisa, non puoi essere libero di metterti quello che capita, ma quello che la gente conosce!
Non era più libero di vestirsi come voleva? Non solo appena usciva quella gente gli ronzava intorno come dei tafani pronti a succhiarli consigli ed esperienza, con l’obbligo suo di azzeccarli sempre altrimenti quelli pungevano; ora non poteva neanche più vestirsi come voleva, costretto al saio come i frati. Quella gente si meritava proprio di essere lasciata a se stessa…ma poi ogni proposito di ribellione si quietò e tutto tornò come al solito, Gianni passava per il paese con il suo vestito scuro e la cravatta e tutti lo chiamavano per consigli, anzi ora sembravano quasi più insistenti, come se sospettassero che lui se ne sarebbe andato, certi lo accompagnavano a casa e aspettavano sulla porta la risoluzione di un qualche problema più difficile su cui Gianni aveva dovuto riflettere…questa novità a lui dava non poco fastidio ma non osò ribellarsi…in fondo lui era responsabile di tutti i suoi compaesani…e si confezionò la gabbia lui stesso.

Una sera seduto al suo tavolo, da una gamba più corta, ragionava su una delle solite questioni, quando vide un’ombra sul muro: sulle prime si spaventò, poi osservò meglio e scoprì una falena che volava attorno al suo lume acceso.
Tornò a pensare ai fatti suoi…ma quella falena lo incuriosiva!
Spense il lume e la farfalla si posò sul muro…lo riaccese e quella lesta tornò a girare intorno alla luce – Cosa ha di tanto bello il mio lume?
La farfalla invece di rispondere continuava a volare battendo le ali contro il vetro del lampioncino.
La sera dopo Gian accese il lume, si sedette e aspettò: ed ecco la piccola falena accorrere per danzare, lui la osservava…sembrava proprio felice quell’esserino li’ per la luce, lui non ci aveva mai fatto caso al suo lume, lo usava è vero ma come si usa una pentola, un vestito…invece quella falena ne godeva in modo diverso!
Gianni si alzò ed iniziò a camminare intorno al tavolo, girava assieme alla falena…niente…a lui non sembrava quel gran divertimento.
Forse faceva qualcosa di sbagliato, si sedette e osservò meglio la falena – Ma certo! Le ali! – si alzò e iniziò a volare sbattendo le braccia…ora si che si divertiva! D’improvviso tutti i problemi che gli stringevano lo stomaco erano scomparsi, era libero di ridere di non pensare a nulla, non era più ü meistro, ma una falena. Ed i problemi che doveva risolvere?
- Quali problemi! Risolveteveli da voi! Io devo dormire! Stasera ho un’appuntamento!
Un appuntamento, Gianni? In paese la notizia girò velocemente!
- Ü meistro un appuntamento?
- Ma se non si è mai voluto sposare !
- Tutte bagascie le donne – erano parole sue, udite anche dal prete che era andato a parlargli di una brava ragazza…lo aveva mandato via a suon di brutte parole!
Tutte le sere Gian si alzava, si vestiva: cravatta, abito nero…e ballava con le falene: già perché nel frattempo i piccoli insetti erano aumentati, quasi si fossero detti che dentro la casetta con le crepe c’era un uomo che danzava con loro!
Ma Gian continuava a sentirsi a disagio: forse era la giacca?
Si, si doveva essere quella!
No! si sentiva sempre impacciato non come le sue amiche così libere. E se la cravatta…la camicia? O i pantaloni?
Si trovò nudo a danzare intorno al lume posato a terra!
Poi aprì tutte le finestre ma si sentiva ancora soffocato non si sentiva come quelle falene li’!
Di giorno la casa del maestro rimaneva chiusa al sole, ma di notte si apriva alla luna, alcuni vicini giurarono di aver visto Gian ballare nudo con degli spiriti intorno ad un falò. Il prete, preoccupato, andò a trovare Gian, lo benedì ma lui magro, tutto sporco di cenere e polvere lo cacciò via – Fuori! Via con i vostri problemi!
Appena il tramonto si nascondeva dietro il monte Gianni ballava, anzi volava assieme alle sue compagne: e fu così che una sera svegliandosi sentì uno strano rumore nella testa, come uno sbatter d’ali…andò allo specchio e vide che dietro ai suoi occhi c’era una falena che volava…si, proprio dentro la sua testa – Ma come hai fatto ad entrare li’?
Ma che importava! Adesso lui era finalmente una falena, poteva anche lui battere le ali, aprì la porta di casa e vide la luna – Com’è luminosa! – e via giù lungo le fascie danzando, volando con la falena che gli batteva nella testa: verso la luna.


Adriana B.Port

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