Diario non troppo segreto di un fine settimana in Toscana....immaginario!!!



Sono a casa quando vedo la polvere rossa alzarsi dietro al lunotto dell’auto che procede a sbalzi nella strada sterrata, quando apro la portiera ed il profumo della lavanda appena sfiorita, del rosmarino e del timo abbarbicato sulle pietre lisce invade l’abitacolo. Ora sono a casa e lo so, è la consapevolezza che mi si avvinghia alle viscere ogni volta che il piede poggia sull’erba umida di Pievescola, ogni volta che guardo le colline voluttuose sospese tra il cielo ed il rosso della terra arata, ogni volta che il vento scompiglia l’erba girandola dal verde cupo al tenero quasi bianco, ogni volta che assaggio la quiete che mi invade, che invade tutti i sensi insieme, d’un colpo, quasi volesse strapparmi ricordi ed emozioni troppo radicate e tristi.
I miei occhi non lacrimano per emozione femminile ma perché mi sento come alla fine di un viaggio doloroso e finalmente ritorno dove il mio corpo e la mia mente riposano e riposeranno, dove tutto il dolore di questo anno infinito, delle amicizie perse, dell’amarezza ritrovata ed assaporata fino alla fine come estrema vendetta di qualcosa che voleva piegarmi, del senso di impotenza che mi ha portato fin quasi in fondo al baratro…ora qui posso ritemprarmi perché sono a casa.
E voltandomi vedo lassù perso fra la nebbia del mattino un casale sfumato di rosa nell’alba che ormai si allontana, altre immagini di un mondo che vorrei mi appartenesse per sempre, non solo per questo miserabile momento che arriva troppo tardi ogni volta e che ogni volta passa troppo in fretta.
Tenere un diario di un fugace week end mi sarebbe sembrato appena un anno fa una cosa stupida, ora, è il desiderio di riportare a casa dove vivo l’immagine di un’altra vita quella sognata quella fatta solo della mia passione, quella passione che ancora una volta mi soccorre nel momento in cui un vento freddo tagliente ha inciso la mia carne, quell’unica passione così forte che mi tiene sveglia notti intere, quella passione maledetta e benedetta così tante volte che neanche me ne ricordo, quella passione che ha solo un nome Scrivere, scritto con la maiuscola perché non è verbo ma compagna fedele che si alza con me al mattino e con me si corica nelle notti, rare, in cui non mi tiene sveglia anche solo che a scrivere con la mente.
Che mi viene in soccorso perché mi fa scrivere ciò che nessuna lingua al mondo riuscirebbe a spiegare con parole di aria ma solo di inchiostro.
Ed il diario di un week-end immaginario in quella che è da sempre casa mia, per mettere ordine nei miei pensieri nei sentimenti più profondi e che mai saranno svelati o che forse solo una persona riuscirà a comprendere perché al di là di quella che è la vita e di quello che è stato le anime affini si capiscono senza bisogno che i corpi che le contengono si incontrino mai più.

Sono le 8.00 di un sabato nebbioso ed umido, il sole non pare abbia voglia di salutare il mio arrivo ma non mi importa, il ritorno a casa è più di quanto potessi sperare un anno fa, quando salutai nel freddo di un marzo nevoso questa terra con la consapevolezza che non avrei fatto ritorno presto come invece mi ripeteva Martino – dai a settembre saremo di nuovo qui, due settimane e poi magari qualche fine settimana a giugno….eh che ne dici?

Ed io sorridendo e voltandomi annuivo anche perché lui non avrebbe capito quello che io sentivo quello che poi si sarebbe avverato e dell’anno cupo a cui andavamo incontro, per lui era appena iniziato un anno, il 2009, come tanti altri con tante incertezze ma anche con la speranza che accompagna sempre il futuro sconosciuto ed insondabile. Io, invece, sapevo che sarebbe stato un anno terribile, non certo perché lui sia più ottimista di me, anzi, il contrario direi…ma io avevo quella maledetta compagna (ecco ora le conto le volte che l’ho maledetta) che è la Scrittura, una sorta di folletto o troll o forse fatina che dopo tanti anni di frequentazione ti ha passato quel sesto senso o quella sensibilità per le disgrazie proprie che ti permette di annusarle, come un buon segugio, da lontano ed essere crudelmente consapevole che si avvereranno presto ed inevitabilmente.
E ora invece sono qui sull’erba umida della Toscana lasciandomi alle spalle tutto quello che è stato, incurante di quello che sarà, sospesa come la nebbia che avvolge i campi, e mi piace questo senso di inconsapevolezza questo poter cancellare tutto il passato ed anche il futuro vivere per un lunghissimo periodo solo e solamente il presente che è la pioggia che sbatte sulle mie ciglia, che sono le lacrime salate che scaldano le mie labbra. Si! cancello tutto e tutti in questo primo giorno di ritorno, non voglio essere una rondine che parte e torna ritrovando lo stesso nido io voglio sconvolgerlo ricostruirlo tutte le volte che parto e ritorno, ho deciso non voglio più nidi… o forse no… forse è proprio il desiderio di un nido che mi spinge sempre e solo qui, è strano le donne di solito scappano per un uomo o da un uomo, io scappo da una vita che non è la mia non cerco la compagnia di nessuno se non di un foglio di carta e di una penna anzi le uniche cose che mi porto dalla mia vecchia vita sono le penne fedeli ed amiche che chinano la loro volontà alla benedetta (ecco ora conto le volte che l’ho amata) Scrittura. Chissà perché qui riesco a sentirla più forte, posso sentirla vibrare, si il termine è appropriato, è una sensazione strana che non riesco sempre a spiegare ma ogni volta che il bisogno di scrivere si insinua sento come se il cuore si fermasse ed un nodo che fa mancare il respiro alla gola, poi tutto scompare intorno e resta solo il foglio che si riempe in un flusso di parole che escono dalla punta della penna. Quando ero piccola ero convinta che fosse merito della penna (anche nell’Ombra del Vento mi sembra che il protagonista sia convinto di questo) invece con l’età ho capito che non centra niente ne’ la penna ne’ tanto meno la mente e nessuno si faccia illusioni romanzesche, nulla centra neanche il cuore, ma per chi scrive è un flusso che arriva da lontano che ti invade non sei più tu ma sei quello che scrivi, i paesaggi descritti i profumi sentiti ed i personaggi che vivono in te. Io non penso di avere un dono esclusivo che solo io possiedo io penso che tutti lo abbiano dentro di se, solo che ognuno di noi lo esprime in modo diverso, chi canta, chi dipinge, chi si dedica ad aiutare gli altri, e c’è chi non fa nessuna di queste cose ma che dentro di se ha come un diamante grezzo che deve solo trovare ed iniziare a lavorare pazientemente, una vena di ardesia che attende solo uno scalpello per nascere a nuova vita.
Oggi, come primo giorno, andrò a trovare un posto che ho incontrato per caso svoltando una curva, era l’anno 2007 (sembra quasi di parlare di secoli fa ma la cosa mi piace) era settembre, una giornata sfacciatamente bella, un sole che brillava come in un fazioso dipinto, io ed il sempre presente Martino (l’unica persona al mondo che non solo mi sopporti stoicamente ma che mi capisca più di quanto lui stesso creda o voglia ammettere) giravamo senza una precisa meta seguendo semplicemente l’asfalto ed il paesaggio, quando ad un bivio scegliemmo la salita ed inerpicandoci per stradine sottili ed ombrose giungemmo ad una piccola chiesetta rotonda, li’ conficcata in una roccia c’era la mitica spada di San Galgano, sono sincera avrei voluto aprire la teca che la conteneva e provare ad estrarla, ma il saggio Martino mi indicò le telecamere che la puntavano…peccato sarà per un’altra volta…chissà magari ci sarei riuscita!
Quando uscimmo dalla chiesetta per ridiscendere verso l’auto volli a tutti i costi allungare la strada procedendo su di un sentiero ben delineato tra l’erba secca….ed allora come oggi…da dietro una fila di alberi che celano l’orizzonte apparve la Chiesa senza tetto!
Ed oggi in questa fugace visita di ritorno voglio ripartire da li, dalla chiesa senza tetto, una costruzione magica e misteriosa un susseguirsi di archi e sculture mistiche, erose dal tempo e dall’incuria, un posto strano che mi ha affascinato senza neppure saperne il perché, la prima volta che giunsi ai piedi dei poderosi muri mi invase una sola smania, quella di entrare dentro di poterne attraversare i corridoi e così tentai (per mia fortuna senza riuscirvi) di penetrare attraverso un finestrone…Martino poco più avanti a me, usò agevolmente una porta recante la scritta ENTRATA, una magra figura mancata per un soffio ancora oggi mi immagino la mia goffa figura calarsi dal finestrone al di la del quale turisti e guide si bloccavano silenziose stupefatte ma soprattutto armate di telecamere e macchine fotografiche per immortalare me che saltavo giù da un balcone anziché utilizzare la via comune a chiunque abbia un minimo di sale in zucca.
Potrei qui dilungarmi in lunghe descrizioni sui singoli capitelli, sugli archi a sesto acuto ecc.ecc. ma farei come nel gobbo di NotreDdame, due capitoli noiosissimi sulla cattedrale francese che penso nessuno abbia mai letto del mitico romanzo, quindi farò oggi come allora mi dirigerò nella stanza che vengo a rivedere. E’ una stanza grande bassa di soffitto tutta ad archi interamente dipinta, quello che cerco io e che vidi allora è un capitello agli estremi bordi della stanza dove in terra di Siena è dipinto un labirinto…non mi chiedete perché mi ha affascinato allora o perché lo venga a cerca oggi, è un semplice labirinto concentrico disegnato su di una colonna eppure….eppure….sono convinta che la mia vita stia tutta li dentro a quel disegno rosso e sbiadito, un labirinto! Io scappo da una vita che non mi appartiene che vivo perché non potrei fare altro se non subirla passivamente e cerco la via di uscita ma nel cercarla mi imbroglio ancora di più, mi perdo in altre vie sbagliate, sbatto contro muri che io stessa molto spesso disegno, perdo la via buona quella che mi porterà senza dubbio all’uscita, per seguirne altre più facili forse ma più dolorose alla fine, più deludenti. Cosa ho fatto in questo ultimo anno se non questo, seguire una via che altri consapevolmente o no mi hanno tracciato ed io pecora tra le pecore l’ho imboccata sapendo che non mi avrebbe portata dove volevo, anzi, mi ha incastrato in altre viuzze più piccole e senza via di uscita se non quella di ripercorrerle a ritroso, e queste vie sono state le notti passate con gli occhi gonfi di sonno e lacrime che l’indomani lasciavano tracce nere sotto le palpebre sempre più pesanti, che hanno spento il mio sorriso e la mia voglia di ridere…se è vero che dalle risate sincere nascono fate bhe io questo anno sono stata sterile…ho percorso un labirinto fatto di false amicizie, di false speranze ed anche di una mia falsa speranza di potermi interessare a quello che di terreno mi circonda, io non sono fatta per le battaglie umane, per la carriera, per la quotidiana lotta tra povere menti o grandi che siano, non sono fatta per le battaglie più semplicemente. Ora capisco la mia passione per le sfere di cristallo quelle piene di acqua a polistirolo a mo’ di neve, sono mondi fragili ed affascinanti, un piccolissimo spazio rotondo un mondo in miniatura che racchiude spazi enormi. Ecco! la mia vita o meglio il mio mondo immaginario che mi sono costruita in anni di scrittura può racchiudersi in una sfera, fragilissima, che la realtà di questo anno ha crepato, da cui è uscita acqua e polistirolo e che solo oggi, forse, riuscirò a riparare e rimediare. Non so quanti di quelli che ho conosciuto si porteranno dietro un bel ricordo di me, falsamente mi ripeto che non mi importa, invece mi importa tantissimo e vorrei semplicemente che nessuno si ricordasse più di me, che diventassi invisibile e che si potesse solo leggere di me o meglio che chiunque mi conoscesse solo per quello che scrivo, ma che la mia vita fosse racchiusa in una piccola sfera di vetro soffiato dimenticata su di una mensola di una qualche libreria polverosa.
Il custode mi guarda incuriosito, è da parecchi minuti che sono qui davanti al labirinto, forse penserà che mi ha ipnotizzato o che voglio pasticciarlo visto che stringo tra le mani la mia mont blanc nera, forse potrei firmarlo Adriana B.Port, in fondo lo sento mio questo scarabocchio sulla colonna…sotto è posato un cartello con su scritta la spiegazione del labirinto in epoca mediovale – quale brutalità cancellare ogni possibilità di immaginazione con una spiegazione sterile e pratica – come è poco romantica quella scritta così lapidaria e come se qualcuno venisse alle mie spalle mi desse una pacca e mi dicesse – eh eh inutile che fissi tanto a lungo quello scarabocchio cercandone il significato recondito, guarda li’ su quel cartello c’è scritto tutto! – ma possibile che ci sia sempre qualcuno indaffarato a sciogliere i sogni a decifrare tutto a cercare la verità sempre, io a questi impiccioni vorrei dire di farsi i fattacci loro, di lasciarmi sognare anzi lasciare tutti noi sognare di lasciarci credere qualsiasi cosa ci passi per la mente. Faccio finta di niente e assesto un calcio al cartello che cade in avanti coprendo quella sequela di assennate spiegazioni archeologiche e teologiche, naturalmente quell’impiccione di custode corre subito a tirarlo su e lo spolvera pure, potessi cacciarglielo via lanciarlo lontano dalla finestra!
Il tramonto mi ricorda che il mio primo giorno di ritorno a casa stà finendo che devo ritornare al mio nido improvvisato ed instabile e stringendo sempre in mano la mia fidata penna esco nel crepuscolo, senza rinunciare ad assestare ancora un calcio al cartello che in mancanza del custode, indaffarato altrove, passerà la notte supino come merita. Se mi vedesse Martino correrebbe a rialzare il cartello…no…riderebbe e mi darebbe come sempre ragione, no come sempre è esagerato le nostre epocali liti che rimbombano per giorni, come temporali e mari in tempesta, sono famosi a tutti i nostri intimi amici.
La chiesa senza tetto

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